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I Manager Assirm si raccontano: intervista a Federico Capeci – AD Duepuntozero Research

7 Maggio 2014

Federico Capeci – Duepuntozero Research

Da dove nasce la passione per la ricerca?

Dal digitale, dall’evoluzione ed innovazione che rappresenta per questa professione. Mi occupo di ricerche da circa 15 anni, avendole scelte per il mio percorso professionale più per opportunismo che per passione: ritenevo fosse un ambito meno competitivo per chi come me voleva occuparsi di marketing, ma aveva di fianco migliaia di altri candidati pronti a fare di tutto per una scrivania da junior product manager. Per questo ho scelto di specializzarmi in ricerche di mercato, all’Università prima (Economia a Bologna) e con un corso di specializzazione successivamente (SDA Bocconi). In quella disciplina vi erano meno interessati, era meno glamour per un laureando di Economia e Commercio. Ricordo benissimo quando incontrai proprio Laura Schiaffino di Assirm per chiederle dei nominativi a cui far mandare i CV per un possibile stage post-master… Lei mi rimandava alla lista degli associati e io giuravo che non sarei uscito dall’ufficio senza nomi e cognomi. La SDA mandò i Curricula dei pochi interessati a compiere lo stage in istituto ed io fui scelto da Eurisko. Lì iniziai (l’esperienza precedente in Mandarina Duck è stato solo un breve rodaggio), accudito e formato da professionisti eccellenti che tutt’ora rappresentano dei punti di riferimento per me.

Tuttavia è solo di “recente” (sono passati diversi anni oramai a dire il vero…) che il lavoro che faccio rappresenta una delle mie passioni: da quando ho iniziato a comprendere la straordinaria forza creativa che il web consente ad un ricercatore. Ora in effetti la annovero tra le mie passioni, poichè fare ricerca in questi nuovi contesti significa sperimentare, mettersi alla prova, scoprire, oltre ad acquisire un ruolo centrale nelle strategie dei clienti per i quali si lavora.

Quali studi consiglia a un giovane che vuole avventurarsi in questo settore?

Il nostro lavoro ha talmente tante sfaccettature, metodi e campi applicativi che non penso si possano definire dei percorsi di studio privilegiati. Alcune facoltà forniranno un background più solido per gli studi sociali, altre per le ricerche di marketing, alcune daranno un’impronta più quantitativa ed altre più qualitativa: ciò che conta, per un giovane che abbia già identificato la ricerca di mercato come proprio orizzonte professionale, è di scegliere università che diano metodi e riferimenti per interpretare le cose che ci circondano, siano legate agli aspetti più economici, a quelli sociali, a quelli psicologici. Ecco, non spenderei risorse in quelle facoltà che forniscono un indirizzo già prestabilito verso altre professioni (ingegneria, giurisprudenza, medicina …), anche se il nostro mondo sta cambiando molto velocemente e le competenze richieste ad un ricercatore saranno sempre più multidisciplinari.

Da ricercatore a capo di un istituto: com’è stata la carriera di Federico?

Il passaggio per me più importante, in questo senso, è stato da Research Manager di Coca-Cola a Direttore Generale di OTO Research, un istituto di ricerche appartenente ad un gruppo di consulenza digitale piuttosto grande (Fullsix). La sfida, allora, fu quella di rilanciare l’azienda, riposizionandola sul mercato, dandogli dignità di istituto di ricerche e internazionalizzandola. Raggiunti quegli obiettivi, ed acquisita sicurezza in questo ambito manageriale (mai avulso per me da quello di “prodotto”, dalla ricerca) la strada si è aperta, fino a condurmi a Duepuntozero Research, la realtà del gruppo Doxa che oggi dirigo e che vivo con estremo entusiasmo, poichè affianca l’innovatività dei metodi digitali alle tematiche e metodologie più consolidate: come l’acqua per il cioccolato, insomma, connubio che, dicono, può creare la base per dolci sorprendenti e geniali. 

E’ cambiato il mondo della ricerca rispetto a quando ha iniziato? Se sì, in che modo?

Purtroppo devo riconoscere che è cambiato ancora troppo poco rispetto a quanto dovrebbe. Vi sono opportunità enormi per chi sa fare ricerche di mercato: il mondo, oggi, è pervaso da dati e informazioni in quantità elevatissime che gli istituti stanno utilizzando solo in minima parte per dare servizi ai propri clienti. Per questo nascono ogni giorno nuove strutture che si improvvisano in questi ambiti e quelli che non erano competitors degli istituti, ora lo sono a pieno titolo. Per questo il nostro settore è chiamato ad una trasformazione importantissima, che parte dai processi e dalle competenze, per giungere ad un nuovo modo di intendere la gestione dell’informazione. Sempre meno raccolta dei dati e più consulenza? Dipende dai campi: nei nuovi territori di ricerca, per esempio, come quelli della rete o del mobile, si può e deve far molto, ancora, sui basics, sul modo di raccogliere e analizzare i dati. Per altri ambiti, invece, che hanno già consolidato i metodi di ricerca, si deve fare di più nell’aggiungere valore che sia tangibile per i clienti. Insomma, ancora una volta, parliamo di una professione dalle molteplici sfaccettature e dinamiche, ma che proprio da questa caratteristica può trarre il proprio ruolo. Magari partendo proprio dalle nuove leve, dai giovani a cui spesso diamo troppo poco spazio, costringendoli ad una gavetta che non ha più l’utilità di un tempo. Il mondo cambia molto velocemente e verso una direzione che loro conoscono molto meglio di noi …

Le nuove tecnologie e internet stanno cambiando le ricerche di mercato? Rappresentano un valore aggiunto o un ostacolo?

Passiamo ad un’altra domanda? 😉

Come, secondo lei, la ricerca può rappresentare uno strumento strategico per il Sistema-Paese?

Per un Paese come il nostro, chiamato a sfide importanti nella ricerca di una posizione nel contesto economico internazionale, penso che la ricerca possa rappresentare una fonte di prosperità non banale. Per l’Italia, che non può competere sul fronte della manifattura, in diverse situazioni oramai, diventa cruciale il mettere a sistema e dare un indirizzo alla capacità di analizzare i Big Data che affollano i vari sistemi economici, politici, sociali. Il dato e la capacità di saperlo raccogliere ed analizzare può davvero diventare una componente del PIL molto importante. “Data is the new fuel”, dicono gli americani. Noi che abbiamo storia ed esperienza per farlo, potremmo provare a “raffinare” questo nuovo petrolio per fornire a noi stessi e ad altri Paesi strumenti per migliorare le economie, ma anche le vite delle persone.

Federico Capeci - 2.0 - 5 maggio 2014.pdf